“Ël Quintët”, “ël Trombi (le trombe)”, la “Muda (il cambio)”, la “Fanfara” sono denominazioni in uso in diversi paesi del Canavese (rispettivamente Brosso, Rueglio, Palazzo C.se e Quincinetto per indicare lo stesso tipo di formazione musicale, un “ensemble” formato da strumenti a fiato, perlopiù ottoni. L’indicazione “quintetto” non deve però dare adito all’idea che siano necessarie almeno cinque persone per formare il gruppo, questa motivazione è bensì dovuta alla struttura musicale: trattasi difatti di musica eseguita con cinque parti differenti. Gli strumenti che compongono il “Quintët” sono strumenti a fiato, non essendo contemplate le percussioni o i cordofoni. Qualche volta può comparire la fisarmonica, ma non era prevista all’origine della formazione. Gli strumenti a fiato, essendo per loro natura monofonici, con la formazione a cinque voci differenti creano polifonia. Le indicazioni teoriche dateci dai nostri collaboratori per comporre un “Quintët” sono: la “Prima parte” o “Canto” ; viene eseguita generalmente da un clarinetto, un saxofono o da una tromba. Il “Contraccanto” ; può essere eseguita dagli stessi strumenti, i quali possono suonare una parte in terza, o in ottava o una melodia variata. Gli “Accompagnamenti” ; normalmente eseguita dai Genis, formano le due note dell’accordo , terza e quinta e suonano generalmente in levare. Il “Basso” ; mantiene il tempo e la quadratura del tutto, non disdegnando però talvolta di eseguire esso stesso il tema portante. Questa formazione si presume abbia come genesi la “Fanfara” militare (denominazione, come abbiamo detto, ancora in uso a Quincinetto, Carema, Settimo Vittone, Tavagnasco, etc.) che eseguiva musiche atte ad essere suonate in movimento, in marcia o di corsa. Era quindi auspicabile l’uso di uno strumento portatile, non eccessivamente pesante e soprattutto facilmente gestibile in intonazione e articolazione. L’uso di clarinetti e saxofoni sarebbe stato introdotto molto più tardi, con l’avvento della Banda. Ricordiamo che, in Italia, l’organizzazione di Bande musicali non avvenne prima del 1865 e che, con l’avvento del Regno d’Italia (1861), la pratica di “alfabetizzazione” musicale venne largamente diffusa nelle città e nei paesi, proprio per dare vita a quelle forme associative chiamate Bande che dovevano celebrare musicalmente il nuovo Regno. Maestri di musica, appositamente stipendiati, vennero interpellati nei vari comuni per istruire alla lettura musicale i “suonatori” che fino ad allora avevano fatto “più pratica che grammatica”, cioè suonavano “ad orecchio”, senza spartito. Questo contribuì alla scomparsa di tutto un repertorio arcaico di tradizione orale, ma si sa che non si può suonare musica bandistica, di natura “colta”o “semi-colta”, senza che ognuno rispetti la sua parte. Gli strumenti del “Quintët” antico erano diversi dagli attuali: tipo la Cornetta (derivante dalla Cornetta militare senza pistoni), dal suono più morbido e agile rispetto alla Tromba. Il canneggio conico della Cornetta influisce molto sul suono, rendendolo più scuro e melodioso; la Tromba, invece, presentando un canneggio cilindrico, suona con tonalità più squillanti. La Cornetta eseguiva la parte del “Canto”. Il “Contraccanto” poteva essere eseguito dal Genis (della famiglia dei Flicorni) o dal Bombardino (nome in italiano Eufonio), entrambi appartenenti anch’essi alla famiglia degli strumenti a canneggio conico, quindi dal suono scuro. La famiglia dei Genis fu strutturata nientemeno che da Adolphe Sax, l’inventore del Saxofono, attorno al 1845, raggruppando e mettendo ordine tra una serie di strumenti pre-esistenti. Gli “Accompagnamenti”, oltre che dai citati strumenti, possono oggigiorno essere eseguiti dal Trombone a coulisse o dal Corno francese, a seconda della disponibilità degli strumentisti. Per ultimo, il “Basso” può essere suonato dal Tuba o dal Bassotuba, entrambi sempre facenti parte della famiglia dei Genis. Un modello adatto per essere trasportato in marcia è l’ “Helicon”, con il braccio e la spalla del suonatore passanti all’interno dello strumento. Dove venivano costruiti questi strumenti? A Torino, c’erano diversi costruttori di strumenti a fiato (Moretto e Milanesio, Morutto…) ma anche in zona esistevano validi artigiani: si possono vedere, su qualche vetusto ottone del passato, le etichette della fabbrica Pitetti di Ivrea. La lega metallica usata per la costruzione non era certo sofisticata come quelle di adesso, ma il suono scuro e armonico che ne derivava è una caratteristica sonora del “Quintët” antico. Abbiamo parlato finora di musica scritta per banda, ma il “Quintët” prevede che si suoni senza notazione scritta, senza orchestrazione se non quella spontanea e “a orecchio” fornita dagli esecutori. Il testimone Aldo Fontana, suonatore di tromba di Brosso, nel 1974 raccontò ad Amerigo Vigliermo:: “ Noi suoniamo tutti più volentieri nel “Quintët”! Noi non siamo musicanti del Conservatorio e allora, venendo su con qualche suonata da “Quintët”, ci sembra che suonino bene e allora c’è un’altra soddisfazione! Come ti dico, meglio che suonare un “pezzo” (in questo caso, un brano musicale concertato). Capisco che suonare un “pezzo” abbia un altro valore, un’altra faccenda, ma il “Quintët” è una soddisfazione più grossa per noi e anche per quelli che ascoltano, almeno per quelli di questi nostri paesetti che sono nati lì e si capisce che non sanno la musica, ma la sentono! Eccome se la sentono!” Di fronte a queste parole, emerge tutta la spontaneità e la bellezza che caratterizzano la nostra tradizione musicale popolare, aldilà di ogni velleità e speculazione economica, bastando la pura espressione sonora a dare un valore aggiunto alla Cultura della nostra Gente. Qual è il repertorio musicale eseguito dal “Quintët”? Generalmente sono ballabili: valzer, polche, mazurche, monferrine, ma anche marce e brani adatti ad essere cantati a seconda delle situazioni. Ad esempio, la “Fanfara dei Coscritti” o la “Fanfara dei Partenti”, suonata quando qualcuno emigrava dal paese e il “Quintët “andava ad accompagnarli fino fuori dall’abitato. Per i servizi ai funerali, invece, era presente tutta la Banda. Non c’erano occasioni “speciali” per far uscire il quintetto a suonare, bastava averne voglia e si creava subito la festa. Feste dei coscritti, nascite, matrimoni, la transumanza, erano tutte occasioni per fare un po’ di musica spontanea e esserne appagati, sia come ascoltatori che come esecutori. La funzione del quintetto è anche quella di interscambiabilità tra i suonatori, capita così che squadre improvvisate di musicisti si ritrovino (magari senza conoscersi) e suonino assieme un brano noto a tutti. Nessuno è “primadonna” nel quintetto, ma tutti giocano in squadra e ognuno diventa protagonista nel far musica. Molte volte, i titoli dei ballabili sono anonimi: abbiamo magari una qualche denominazione “romantica” come il valzer “Amore Notturno” oppure la polca “Scossa Elettrica” o “La Va Benone!”(scritte da Dante Corzetto detto “Rabat”, trombettista-compositore di Rueglio) , oppure un titolo più vago: la “Polca Veglia”o la “Mazurca Veglia”, dove “veglia” indica l’età del brano (più o meno gli anni attorno al 1920). Abbiamo la “Polca di Bagino”, non perché l’avesse scritta lui, ma perché era uno dei suoi cavalli di battaglia. Così come la “Polca di Anita”, brano da virtuosi, eseguita da Anita Mosca, la nipote di Aristide Mosca detto “Palasòt”, uno dei più famosi suonatori canavesani. Molte altre volte, purtroppo, ci dobbiamo accontentare di “Valzer n.10” o di “Mazurca n. 2”, in quanto i numeri designano la “cronologia” dei brani trascritti sui piccoli libretti che servivano come promemoria ai suonatori, in quanto non esisteva ancora la possibilità di registrare su nastro magnetico. Questi libretti, preziose testimonianze del passato, custoditi gelosamente dai nipoti o dai famigliari dei suonatori, sono l’unica fonte alla quale appellarci per ricostruire un repertorio che è mutato più e più volte nel tempo. Difatti, la musica del “Quintët” non è statica, ma si aggiorna e si modifica secondo i gusti e le esigenze contemporanee. Brani di musica leggera o moderna sono eseguiti con lo stile tipico del passato, rendendo così attuale un discorso che avrebbe potuto finire nel dimenticatoio. Nel libro “Sonador da Coscrit e da Quintët – Ricerca sulla Musica Popolare in Canavese e Valle d’Aosta seguendo il sentiero tracciato da Amerigo Vigliermo” sono stati riprodotti un centinaio di questi spartiti, frutto di una ricerca ormai quarantennale che il Centro Etnologico Canavesano (C.E.C.) ha condotto presso gli ultimi “Testimoni della Tradizione”. Un repertorio salvato, da valorizzare ma soprattutto da far vivere, come bandiera della nostra Cultura Popolare. Per concludere, qualche nome di suonatori da “Quintët”: Isidoro Battistino detto “Barba Mineur”, Renato Battistino, Aldo Fontana (tutti di Brosso), Leo Bosonetto, Renato Vairetto, Ninetto Vairetto (di Carema), Primo Avial (di Lessolo),Carletto Giovanetto, Margherita Vigna (di Montestrutto), Aristide Mosca detto “Palasòt”, Quinto Bonino (di Palazzo C.se), Giuseppe Buat, Lino Buat, Domenico Jachi (di Quincinetto), Dante Corzetto detto “Rabat”, Melino Peraglie, Gianni Peraglie, Gelso Vigna (di Rueglio), Gianni Prola e Giacomo Sardino (di Settimo Vittone). E un aneddoto finale, raccontato dalla viva voce di uno dei testimoni intervistati: “La Mazurca del Piën d’Alàs!” Ti posso dire che il titolo originale era “Una Volta ero Bella”.Era nel 1922 e la gente qui a Brosso viveva facendo gli operai alla miniera o i margari. Nel mese di giugno c’è stato uno sciopero di tre mesi e, dato che era il tempo del fieno, tutti sono andati su per le cascine a tagliarlo. Dato che tutti suonavano, si sono portati dietro lo strumento perché sapevano di stare su almeno quindici giorni. E così di sera si trovavano dove c’erano le “matòtte”(ragazze) e suonavano e ballavano fino a notte tarda. Forse perché non sapevano tanti ballabili o forse perché la mazurca piaceva a qualcuno, suonavano sempre quella e così ha preso il nome della mazurca del “Piën d’Alàs”! Si dice Piën d’Alàs, ma non è tanto in piano. Era un prato e a forza di girarci sopra hanno strappato persino la “tëppa” (manto erboso)! I proprietari erano molto arrabbiati! Pensa, era quando c’erano ancora tutte quelle ragazze…le Fontan-e…” Già, quando c’erano tutte quelle ragazze e bastavano solo “doi cotlet-te… e l’era già festa gròssa! (Due bistecchine…ed era già una grossa festa!)”. Altri tempi.
Rinaldo DORO, gennaio 2015