“Monferrina” appartenente al repertorio dei Pifferi e Tamburi del Carnevale di Ivrea (TO).
Le pifferate del Carnevale di Ivrea
Scozzese num. 2
Mazurca di Ettore Pogliano
Ettore Pogliano di fraz. Pogliani (Chivasso – TO) era un Fisarmonicista “da Coscrìt” che ebbi il piacere di conoscere all’inizio degli anni ’80. Questa “Mazurca” senza titolo fu uno dei primissimi brani che registrai, il Sig. Ettore era un ottimo musicista, ma non suonava da parecchi anni, la Fisarmonica usata era un “Verde” mod. Campagnolo a piano, decisamente scordata. La curiosa armonizzazione è sicuramente frutto di un errore, ma risulta molto gradevole ed ho voluto trascriverla così come mi è stata suonata.
Corrente “Bau Bau” in sol-do
Scozzese num. 1
“Le Père Zim – Zim”, ovvero uno degli ultimi “Violaires” dal Piemonte.
“Le Père Zim – Zim”, ovvero uno degli ultimi “Violaires” dal Piemonte.
Molti di voi avranno sicuramente visto queste fotografie “d’antan” che ritraggono il famoso “Père Zim – Zim”, personaggio che girava le vie di Nantes verso la fine dell’800. Bene, il signore in questione in realtà si chiamava Giuseppe Antonio Palemone, era nato nel 1835 o 1836 a Rittana (CN), i suoi genitori erano “Paulin” Palemone, calzolaio e Maria Goletto, casalinga. Nacque settimino e mantenne per tutta la vita quell’aspetto mingherlino e claudicante che lo contraddistingueva. Suonando la “viola” in giro per le strade di Francia, pensò bene di mettere radici a Nantes, in Bretagna. Suonava una ghironda di Jenzat (Allier) e si guadagnò il suo soprannome per via nel suono nasale e ritmico del suo strumento: zin, zin, zin…. Si dice che fosse molto ricco (ma poi lui smentì queste voci maligne, in effetti era indigente), si sposò con Marie Louise Rannou, già madre di un bambino avuto da una precedente relazione e si stabilì al 15 di rue Geoffroy Drouet. Giuseppe Palemone riconobbe lui stesso questo figlio, che da allora in poi si chiamò Louis-Paul Palemone. Il repertorio del “Père Zim – Zim” era composto da pochi brani, lo ricordano che sembrava un grosso insetto vagante visto da dietro, si tirava sul davanti la ghironda con una cinghia e, dopo aver controllato l’accordatura e intonato qualche scala, partiva con l’esecuzione de ” La belle Hélène” o di “Marie trempe ton pain”, canzonette in voga allora. Nulla di tradizionale, una riconferma che i suonatori nostrani cercassero di guadagnarsi la pagnotta alla belle e meglio, sfruttando le canzoni alla moda. Nel finire della sua carriera, soleva accompagnarsi con un povero mendicante denominato “Gobe la Lune” (Louis-Dominique Dolgéard, nato a Pleurtuit nel 1872, deceduto all’ospizio di Brest nel 1934), un cantore di strada che doveva il suo soprannome ad una malattia che lo costringeva a fissare sempre lo sguardo verso l’alto. Il duo è ricordato in numerosi libri e giornali dell’epoca, finendo ritratto in parecchie cartoline e illustrazioni di inizio secolo. Giuseppe Palemone morì il 27 Maggio 1908 all’età di 73 anni, presso un caffè di Nantes mentre esercitava il suo mestiere. Un “murales” ancor oggi lo ricorda in Piazza della Borsa di Nantes e una “bouvette” dove lui era solito esibirsi ha voluto lo stesso ricordarlo con un affresco. Uno degli ultimi “Violaires”, scappato dalla povertà a cercar fortuna lontano dal suo paese….
Le sorprese non finiscono mai… Chi ha letto l’articolo sul “Père Zim Zim” precedente, avrà letto che Giuseppe Palamone aveva un repertorio limitato. Uno dei brani che eseguiva era “Marie trempe ton pain”. Ecco, la melodia che potreste sentire è nientemeno che la Monferrina “Checco delle Langhe”, la più antica Monferrina mai ritrovata su spartito (vedere e leggere a riguardo le ricerche di Giuliano Grasso e Maurizio Padovan). Questo può far riflettere sui confini tra musiche regionali cosiddette “incontaminate”, confini culturali e “fabbrica dell’appetito” da soddisfare.
“Fançhon la Vielleuse” era di origine Piemontese?
Ecco, le ricerche fatte bene servono sempre a scoprire le nostre radici… così apprendiamo che la famosa “Fançhon” non era neanche francese, ma piemontese…
“FANCHON LA VIELLEUSE (FRANÇOISE CHEMIN, femme MÉNARD, dite), née à Paris en 1737 de parents savoyards, fut l’une des célébrités du boulevard et des foires, où elle jouait de la vielle pendant la seconde partie du XVIIIe siècle. Les vielleuses à cette époque avaient une détestable réputation comme moralité : sous prétexte de musique, elles fréquentaient les cafés et les traiteurs du boulevard, hantés par des libertins, et s’y livraient à des orgies qui firent plus d’une fois fermer ces établissements par la police. En dépit de la comédie de Pain et de Bouilly, intitulée Fanchon la vielleuse, jouée au Vaudeville de la rue de Chartres en 1803, et qui dépeint notre héroïne comme un modèle de sagesse et de vertu, Françoise Chemin, comme ses camarades, se livra à une vie désordonnée. Les pièces que M. A. Jal a trouvées sur cette célébrité de la rue ne laissent aucun doute à cet égard, et celles que l’on va lire peuvent servir de complément à la biographie qu’il a donnée de Fanchon la vielleuse. Elle épousa, en 1755, un montreur de lanterne magique, nommé Jean-Baptiste Ménard, avec lequel elle vécut en très-mauvaise harmonie, et mourut vers la fin du XVIIIe siècle.
(Le Chroniqueur désœuvré, I, 39, 40. — Jal, Dictionnaire de biographie et d’histoire, 376.)
“L’an 1758, le mardi 21 février, six heures du soir, en l’hôtel et par-devant nous Louis Cadot, etc., est comparue Françoise Chemin, épouse du sieur Jean-Baptiste Ménard, faisant voir journellement la lanterne magique, elle originaire par sa famille de Barcelonnette en Piémont, jouant aussi journellement de la vielle : Laquelle nous a dit qu’il y a trois ans et demi ou environ, n’ayant lors que 17 ans, étant douée de quelques avantages de la nature, elle…
Il apparaît que Fanchon, qui prétendait parfois être arrivée du comté Nice « avec sa vielle sur l’épaule », était en fait née à Paris. Auguste Jal cite l’acte de baptême figurant au registre de Saint-Jacques-du-Haut-Pas : « Le 15 mars 1737, Françoise Chemin, née d’hier, fille de Laurent Chemin, gaigne-deniers, et de Roze Chemin sa femme, a esté baptisée ; le parrain a esté Sébastien Bernard, gaigne-deniers, et la marraine Françoise Bernard, femme d’André Chemin, tous deux de la comté de Nice et actuellement de cette paroisse. » Il sait aussi que le grand-père de Fanchon, André Chemin, « gagne-denier et musicien » était à Paris dès 1732 avec son frère Jean-Louis. Toute la famille était donc arrivée bien avant la naissance de Fanchon et faisait partie de ces nombreux « savoyards » qui « venaient chercher leur vie en France, ramoneurs, commissionnaires, joueurs de vielle, montreurs de marmottes ou de lanterne magique, gagne-deniers enfin, comme on appelait tous les gens qui faisaient dix métiers sans en avoir un réel ».
On la maria le 10 février 1755 à l’âge de 18 ans avec Jean-Baptiste Ménard « natif de Saint-Étienne près Nice » (vraisemblablement Saint-Étienne-de-Tinée, aux environs de Barcelonnette), âgé, lui, de 26 ans.
Selon les quelques documents d’archives la concernant, il apparaît que Françoise Chemin a eu une vie conjugale passablement agitée, on la voit même déposer plainte contre son mari, l’accusant de la maltraiter. Auguste Jal a retrouvé cinq actes de baptêmes d’enfants nommés Ménard mais sur les trois derniers figure la mention « le père absent », ce qui sous-entend qu’ils ne sont pas de lui et ne plaide pas vraiment pour une moralité exemplaire de la véritable Fanchon. Elle semble avoir eu du caractère. Les « couplets grivoix » et les habitués avinés des cabarets et des cafés ne lui faisaient sûrement pas peur.”
Recherches et texte original : Françoise Bois Poteur, 2013 Réécriture : Nicole Pistono, écriTours, 2013 par Texte inspiré du contenu de l’article écrit par Françoise Bois Poteur – 2013 , lisible à cette page ? https://centrepatrimoineimmateriel.fr/histoires/Fanchon.htm
Un Suonatore di Ghironda al “Circo Barnum
Lewis Boner, soprannominato “L’Usignolo Ungherese” (ma chissà di quali origini!), rinomato imitatore del canto di vari volatili e pennuti, Suonatore di Ghironda, attraversò l’Europa in lungo e in largo al seguito del “Circo Barnum” alla fine del XIX° secolo. Suonava una “Vielle” fabbricata a Jenzat (F) e condurrà il suo strumento addirittura oltre il Vecchio Continente, fin negli Stati Uniti. Il suo “partner” (nonchè datore di lavoro) fu Eli Bowen, alias “La Meraviglia Vivente”, l’uomo senza gambe che si esibiva nel famoso circo. Nato con una malformazione genetica (i suoi piedi erano attaccati al torso), egli imparò a camminare sulle mani utilizzando dei blocchi di legno, riuscendo inoltre a compiere acrobazie strabilianti. Nel 1857, a 13 anni, Bowen si unisce ad una “troupe” di circensi ambulanti e inizierà ad esibirsi in capriole, piroette e salti all’indietro.
Lo ritroviamo nel 1897 nell’entourage del “Circo Barnum”, dove si esibirà in un numero con la bicicletta sospesa a cinque metri dal suolo, insieme all’ “Uomo senza Braccia”, Charles Tripp. E tutto ciò accompagnato dal suono della Ghironda del “Maitre Sonneur” Lewis Boner, l’ “Usignolo Ungherese”… (dal libro “Regards”, a cura di Eric Montbel e André Ricros)
Cornamuse, Amori e “Donne Cannone”?
Elie Béjard, “chabretaire” di Limoges, lasciò la sua città natale dopo il servizio militare per seguire un circo di passaggio, nell’ ”entourage” del quale suonerà professionalmente la cornamusa.
Elie Béjard si innamorò successivamente della “Donna Cannone”, una giovane donna incontrata per caso durante una tappa in concomitanza con un altro circo itinerante. Non si sa se fosse la famosa Rossa Matilda Richter, la bella “Zazel”, la prima a sperimentare questa attrazione spettacolare, dove ella veniva “sparata” in aria grazie al meccanismo di un cannone a molla. Dopo un volo di più di dieci metri d’altezza, ella planava sopra una rete o un telo opportunamente teso… ma capitava spesso che il bersaglio venisse mancato o che la rete fosse rotta in vari punti. Dopo un certo numero di incidenti d’atterraggio, lei terminò la sua carriera con parecchie ossa fratturate o in stato precario e in condizioni fisiche non ottimali.
Elie Béjard tornò successivamente a Limoges, dove intraprese il mestiere artigianale di costruttore di sedie e di cornamuse, raccontando sino alla fine dei suoi giorni la sua epopea circense nella braccia della bella “Donna Cannone”.
La figlia di Béjard conserva tuttora la sua bella “Chabrette Limousine”, con il supporto del “chanter” costruito da lui stesso con specchietti e pezzi di metallo a forma di stella, in ricordo dei tempi passati sulla pista del “Circo con le Stelle”… la figlia disse: “Mia madre si chiamava Mathilde, ma personalmente non ho mai saputo di dove ella fosse originaria…” La figlia dell’ amore tra il “Chabretaire” e la “Donna Cannone”!
(Traduzione di Rinaldo Doro, tratto dal libro “Regards 1860-1960” di Eric Montbel e Andrè Ricros, Ed. Flandonnière)