Musicista e studioso di musica popolare, Rinaldo Doro, vanta una lunga carriera musicale spesa in varie formazioni locali, e un rigoroso percorso di ricerca nell’ambito delle tradizioni canavesane intrapreso nel 1978 al fianco di Amerigo Vigliermo e il Coro Bajolese. Da allora, come socio del Centro Etnologico Canavesano di Bajo Dora (To), ha proseguito la sua attività di raccolta, studio, ed archiviazione di antichi spartiti e strumenti musicali, culminata con la pubblicazione del pregevole volume “Sonador da coscrit e da quintët. Ricerca sulla musica popolare in Canavese e Valle d’Aosta seguendo il sentiero tracciato da Amerigo Vigliermo”. Lo abbiamo intervista per approfondire insieme a lui il suo percorso di ricerca, soffermandoci sulla metodologia di documentazione, le difficoltà incontrate, senza dimenticare i progetti in cantiere.
Com’è nato il progetto di ricerca che è alla base di “Sonador da Coscrit e da Quintët”?
Il libro nasce da una mia personale constatazione, risalente ad almeno dieci anni fa: la cronica mancanza di letteratura musicale, e quindi spartiti, sulla musica popolare piemontese. Quando andavo all’ estero per suonare, notavo sempre metodi e libri con spartiti di musica bretone, irlandese, della Francia centrale ma mai trovavo analoghe (o meno che mai, rare) pubblicazioni su musiche tradizionali da danza italiane, tanto meno quelle della mia regione. Quindi, ho deciso di “mettere mano” al mio archivio di circa 30.000 spartiti (manoscritti e a stampa) raccolti in questi 36 anni di ricerche in Canavese. Tutto partì, quindi, come un semplice opuscolo divulgativo per i giovani musicisti desiderosi di ampliare il loro repertorio. Man mano, però, mi accorgevo anche che mancava una “letteratura” sui musicanti e suonatori del passato presenti sul territorio, ed era necessaria una ri-lettura ed un aggiornamento degli scritti compilati negli anni Settanta dal mio nume tutelare nell’ambito della musica popolare, Amerigo Vigliermo. Sono venuti fuori, così, i “Coscritti”, i loro riti, le musiche, la formazione arcaica dei “Quintèt”, le danze di Rueglio, il “Tambour” di Cogne. Alla fine, ho dovuto chiudere il libro così, perché diversamente avrei dovuto scrivere almeno altre trecento di pagine! E’ un mondo invisibile nella sua totalità, come gli “iceberg”: più credi di sapere e più la realtà si occulta sotto la superficie, in attesa di essere svelata. Non si riuscirà mai a porre la parola “fine”. Mai.
Quanto sono state importanti le ricerche sul campo di Amerigo Vigliermo per questo libro?
Amerigo è stato e continua ad essere il mio faro nella nebbia della Cultura Popolare. E’ il Costantino Nigra del nostro tempo! Quest’uomo incredibile, dal 1969 fino ai giorni nostri, gira con il registratore alla mano, macchina fotografica e videocamera per documentare la vita a 360 gradi della Gente del Canavese. Scrivo Gente con la G maiuscola, come scrive Amerigo, per dimostrare l’enorme rispetto che nutre nei confronti delle persone che chiama “testimoni del loro tempo”. A Bajo Dora (TO) esiste quest’enorme archivio della nostra storia sociale, voci di uomini e donne che magari non ci sono più, ma che ci hanno lasciato un bagaglio enorme di cultura, speranza, amore. E’ la nostra storia popolare, quella vera, magari a qualcuno può apparire scontata o troppo banale, ma questo è il nostro blues, la gioia e la sofferenza della vita sul nostro territorio. Questo archivio oggi non potrebbe essere più fatto, o comunque sarebbe profondamente diverso. Migliaia di ore di registrazioni sonore, fotografie, video, libri e spartiti musicali lo rendono un unicum a livello europeo tra gli archivi sulla cultura popolare. E’ assolutamente imprescindibile, vuoi per metodologia che per risultato finale, per chi vuol conoscere la cultura del territorio.
Come si è indirizzato il tuo lavoro dal punto di vista metodologico?
Ho seguito i dettami di Amerigo e quelli del mio cuore! Semplicemente, mi sono chiesto cosa mi sarebbe piaciuto leggere e avere sottomano da consultare. Quindi, ampia importanza alla musica scritta (in molti casi, trascritta da nastri o da files da parte di Sonia Cestonaro, l’autrice di molte trascrizioni musicali e mia fida “compagna” musicale e d’avventura sul campo) e alle notizie tecniche riguardo le modalità di esecuzione e di fruizione della musica Canavesana. E poi parlare con i familiari, con i protagonisti ancora viventi di questo mondo, cambia improrogabilmente il tuo modo di vedere e sentire, il modo di approcciarsi a questa cultura. Ora, non posso più fare a meno di difendere a spada tratta questa Gente. Gente che ci lascia l’ultimo esempio di Civiltà. Quella contemporanea, mi spiace dirlo, non la riconosco come Civiltà. Nel senso più nobile della parola, non posso farlo. Ho trascorso non so più quante ore con il registratore in mano a parlare con quelle persone, con quelle famiglie. Mi sono arricchito nell’animo e posso dire di avere avuto affetto in cambio da loro. Si sono create amicizie profonde, mi sento (con privilegio) di essere anch’io parte di quel loro mondo, trattato alla pari. Per me, è un enorme regalo!
Con quale criterio hai selezionato le fonti e i materiali tradizionali per la tua ricerca?
Non ho selezionato nulla in particolare se non con il criterio dell’ affetto e del cuore. Melodie che sono ancora note nei paesi, oppure musiche che non si suonavano più dagli anni Trenta, o anche vere e proprie “chicche” strumentali. Certe volte, e mi commuovo al solo pensiero, ho visto scorrere le lacrime sulle guance della gente che incontravo, perché erano suoni che ricordavano la loro vita. Questa è la più grande soddisfazione, il sentirsi riconosciuto dai testimoni come facenti parte della loro Gente e non come un estraneo venuto a ricercare chissà che cosa. Essere parte integrante della loro anima, della loro cultura tradizionale.
Quali sono state le difficoltà che hai incontrato nel corso delle tue ricerche e nella realizzazione del libro?
La difficoltà maggiore è stata riguardo la veloce perdita di memoria collettiva che si è creata in questi ultimi anni. Pare che siano passati secoli da quando questi suonatori si esibivano e i quintèt suonavano sul territorio, ma colgo anche i segnali per una riscoperta tutta “Canavesana” che sta salendo pian piano qui da noi, una crescita culturale legata al territorio che sta prendendo piede. Leggo sempre di più “Gastronomia Canavesana”, “Architettura Canavesana”, registi cinematografici e scrittori si appoggiano al nostro territorio molto più numerosi e consapevoli che in passato. Insomma, prevedo una rinascita, spero anche economica, di questa area. Una radice sepolta dal pressapochismo dell’ultimo ventennio, ma destinata a tornare alla luce. Ho buone speranze per il futuro. Per altro, tutti i protagonisti del libro e le loro famiglie sono stati più che lieti e gentili nell’aiuto datomi alla compilazione del volume. E’ stato il mio piccolo contributo alla rinascita del territorio.
Quali sono le caratteristiche del corpus musicale oggetto del tuo studio?
Non credo che si possa parlare solo di musica Canavesana, cioè composta e suonata con determinate modalità, o perché suonate o brani ballabili erano composti in loco, magari dal maestro della banda o da qualche musicista più capace. La musica che è passata su questo territorio molte volte veniva anche appresa dagli emigranti all’ estero (non dimentichiamo che in Canavese l’emigrazione è stata massiccia, verso le Americhe o anche verso la Francia, la Germania, il Belgio…) e riportata, trasformata e eseguita qui. Paradossalmente, è come se un gruppo di nativi giamaicani emigrasse all’estero, imparasse a suonare le musiche locali straniere e poi se ne tornasse in Giamaica, suonando le melodie apprese con lo stile del reggae! Esiste un modo, un accento specifico “Canavesano”, che trasforma una melodia in qualcosa di locale, tipico, di unico. Basti ascoltare il “Quintèt” di Brosso quando esegue “Azzurro” di Paolo Conte, che è un brano di musica leggera, ma che diventa inevitabilmente brossese! In Piemontese noi usiamo una parola, intraducibile: il “Ghëddo”. Significa la dinamicità, l’accento, la pronuncia della suonata. Ecco, il “Ghëddo” è la trasformazione della musica altrui attraverso la nostra Cultura del territorio.
Dalla ricerca sul campo sei arrivato poi al libro. Come si è indirizzato il lavoro in fase di impostazione editoriale?
Ho trovato fortunatamente chi si è innamorato subito del progetto: Giampaolo Verga e la sua Casa editrice “Atene del Canavese”. E’ un editore piccolo, ma molto dinamico e, soprattutto, è uno dei protagonisti della rinascita Canavesana. Un incontro decisivo ed molto riuscito, direi. La prima stampa è praticamente esaurita, attendiamo la seconda! Ma il merito enorme è stato comunque quello di Amerigo Vigliermo e del C.E.C.: senza la loro esperienza, non sarebbe stato possibile affrontare al giorno d’oggi un lavoro simile.
Nel tuo libro una parte importante è dedicata alle interviste con gli informatori. Ci puoi raccontare il tuo rapporto con loro?
Si sono creati dei rapporti di affetto e amicizia che continuano al di là della pubblicazione editoriale. Rapporti che creano sempre nuovi motivi per tornare, per chiedere e per capire le complesse realtà della loro vita e della loro Cultura. Un rapporto proteso nel tempo. Insomma, ci si vuol bene!
Di pari importanza è poi la sezione dedicata agli strumenti musicali. Puoi illustrarcela?
Gli strumenti musicali erano comunque rari, un tempo, perché costosi e il mondo contadino e montanaro non prevedeva il “superfluo”, bisognava arrangiarsi come si poteva. Nel 1914 un “Semitoun” (organetto) costava 300 lire, una stagione in campagna veniva retribuita 30 lire. Occorrevano 10 anni di lavoro per comprare una strumento professionale. Avrei voluto approfondire di più le “questioni” legate all’avvento della fisarmonica e la conseguente trasformazione delle squadre da ballo da “Quintetti” a semplici duo, ma non potevo più approfondire l’argomento, per vari motivi di tempo e di spessore del volume. Magari in futuro, cercherò di addentrarmi ulteriormente in questo settore.
Da ultimo, ritengo importantissimo l’aver corredato il libro non solo delle trascrizioni dei brani tradizionali, ma anche di un disco di registrazioni sul campo. Quanto è importante offrire un documento sonoro e una trascrizione musicale al lettore?
E’ stato assolutamente importante. Le trascrizioni vanno bene e rimangono scritte nero su bianco, ma risentire le esecuzioni con il “Ghëddo” originale, è fondamentale. Oltretutto, queste registrazioni sono state fatte da Amerigo Vigliermo nel 1974 e oggi non sarebbero più riproducibili. Questo era il “Quintetto” originale, questi erano i veri “Sonador da Coscrit”. Ci hanno lasciato questa loro eredità da ascoltare e valorizzare.
Sei socio del Centro Etnologico Canavesano di Bajo Dora, ci puoi raccontare le vostre principali attività?
Il C.E.C. (Centro Etnologico Canavesano) agisce su vari livelli: la ricerca, l’analisi, la restituzione. Gode di un vastissimo archivio audio-video, di una buona biblioteca e della intensissima attività del Coro Bajolese, veri e originali esecutori e “restitutori” di quella Cultura del Canto Popolare così spesso trascurata. Inoltre, il C.E.C. è anche editore, con numerose pubblicazioni editoriali e sonore riguardo la Cultura popolare Canavesana. Per chi volesse approfondire l’argomento: www.cec.bajodora.it.
Quali sono i tuoi progetti di ricerca su cui stai lavorando attualmente e quelli che hai in animo per il futuro?
Il mio prossimo lavoro editoriale verterà su “Lou Tambour de Cogne”, vero protagonista sonoro della festa dei coscritti in Val di Cogne. Le “ Monferrine” a “Due” e “Tre Tens”, “Lou Valse” sono i brani ancor oggi ballati e suonati nelle feste de “Lou Tintamaro de Cogne”, veri testimoni della cosiddetta tradizione vivente. E anche altri interessanti strumenti erano presenti sul territorio, ma bisognerà aspettare il secondo volume in uscita a Natale di quest’anno. Poi, in seconda battuta, ho in mente di sviluppare un terzo libro con cd sul “Ballo a Palchetto” e il mondo ad esso legato: repertori, orchestrine, amori nati e vissuti sulle assi delle piste da ballo itineranti. Intanto, continuo a raccogliere spartiti, strumenti, fotografie e altre masserizie, in quanto preferisco documentare il più possibile le ultime testimonianze di Civiltà presenti sul territorio. Mi pare, così, di rendere giustizia a tutta quella Gente che ha lavorato, ha vissuto e amato in questa terra, senza mai lamentarsi più di tanto e senza mai chiedere di più di quello che avevano. Un riscatto culturale, questo è il minimo che dobbiamo ai nostri predecessori. Non dimentichiamo mai chi siamo e da dove veniamo!
Rinaldo Doro, Sonador da coscrit e da quintët. Ricerca sulla musica popolare in canavese e valle d’Aosta seguendo il sentiero tracciato da Amerigo Vigliermo, Edizioni Atene del Canavese 2014, pp. 336, Euro 25,00 Libro con Cd
Lo spirito che ha animato Rinaldo Doro nella sua ricerca nel Canavese e la successiva pubblicazione del volume “Sonador da coscrit e da quintët. Ricerca sulla musica popolare in canavese e valle d’Aosta seguendo il sentiero tracciato da Amerigo Vigliermo” è racchiusa mirabilmente in quanto scrive quest’ultimo nella presentazione che apre il volume: “La nostalgia del passato, fine a se stessa, non aiuta molto a migliorare il presente. È la conoscenza del passato che può indicare una via più sicura per ritrovare un mutamento di pensiero vero il mondo antico (per qualcuno antiquato) della nostra gente”. Evitando ogni sterile sentimentalismo, o i ricordi fine a sé stessi, Rinaldo Doro, con questo volume ha voluto non solo cristallizzare una scheggia di passato che, negl’anni sarebbe caduta nell’oblio, ma soprattutto è stato animato dal desiderio di condividere la ricchezza della cultura orale della propria terra con le nuove generazioni. Recuperare il passato significa, dunque, creare una base solida nel presente per affrontare il futuro, proprio come da anni fa il Centro Etnologico Canavesano del quale Rinaldo Doro è parte integrante con la sua attività di ricerca e documentazione. Edito dalle Edizioni Atene del Canavese di San Giorgio Canavese (Torino), questo corposo libro con cd è il risultato di un intenso lavoro di ricerca compiuto negl’anni da Rinaldo Doro, il quale proseguendo nel solco tracciato da Amerigo Vigliermo, ha compiuto un vero e proprio viaggio nel tempo, alla riscoperta di quel filone musicale legato ai suonatori delle feste dei coscritti e dei quintetti. Le oltre trecento pagine di questo volume sono così un enorme baule di ricordi, testimonianze, e preziosi documenti che nel loro insieme ricostruiscono in maniera mirabile un universo sonoro di grande fascino. La prima parte raccoglie interviste e testimonianze degli anziani suonatori, alcuni di questi purtroppo scomparsi, come il mitico Palasòt, al secolo Aristide Mosca, che con Paolin (Paolo Avondoglio) ha fatto ballare le feste dei coscritti nel Canavese e nella Valle d’Aosta, e dei quali possiamo ascoltare alcuni preziosi documenti nel disco allegato. Pregevole è anche la ricca sezione dedicata agli strumenti tipici, così come grande attenzione è stata riposta nella parte coreutica con gli approfondimenti illuminanti su “La Corenta di Rueglio”, e “Il ballo a palchetto”. Non manca una gustosa anticipazione sul prossimo volume in cantiere con un focus sul “Tamburo di Cogne”, così come ricchissimo è l’apparato fotografico che raccoglie quaranta immagini d’archivio. A completare il volume sono circa cento spartiti di antichi brani, tra tradizionali e composizioni degli anziani suonatori, nonché il già citato disco allegato che raccoglie ben diciotto brani, registrati sul campo da Vigliermo negli anni Settanta. Insomma “Sonador da Coscrit e da Quintët” è un opera di grande interesse che getta nuova luce sulla tradizione musicale dell’area Canavesana, ma soprattutto ci svela tutta la passione e la gioia delle feste dei coscritti e dei quintetti.
Salvatore Esposito